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Affitti brevi, da Milano le regole per trasformare la città nell’era di Airbnb 

Affitti brevi, da Milano le regole per trasformare la città nell’era di Airbnb

Uno dei più rilevanti processi di trasformazione delle città in corso – in Italia e nel mondo – negli ultimi anni riguarda l’aumento dell’utilizzo degli immobili per l’ospitalità ricettiva di breve periodo, i cosiddetti affitti brevi, a discapito di locazioni a lungo termine per residenza, uffici o attività commerciali e artigianali.

Questo processo ha conosciuto una grande crescita con lo sviluppo di piattaforme online che facilitano la ricerca e la valutazione di soluzioni turistico-ricettive offerte anche da semplici proprietari di seconde case non operano a livello imprenditoriale. Un ruolo di primo piano spetta, ovviamente, ad Airbnb, tanto che è stato coniato il termine di airification delle città.

Il cambiamento in corso e le modalità di funzionamento delle piattaforme proptech che vi hanno contribuito hanno generato un grande dibattito che coinvolge considerazioni di tipo socioeconomico, fiscale, politico e legale.

Le questioni giuridiche in campo

Tra le numerose questioni giuridiche da considerare vi è quella della rilevanza del cambiamento sul fronte del diritto urbanistico.

Dal punto di vista del singolo immobile, questo si traduce nella necessità di valutare se occorra e se sia possibile un cambio di uso per destinare un immobile a una locazione di breve periodo finalizzata all’ospitalità.

Emblematico è il caso del centro di Milano, in quanto città interessata dal fenomeno descritto e che ha di recente adottato un nuovo strumento urbanistico (il Pgt Milano 2030), che sarà approvato definitivamente all’esito della fase di presentazione delle osservazioni da parte degli stakeholders.

Affitti brevi: una disciplina multi-livello

Per affrontare il tema del mutamento di destinazione d’uso dal punto di vista giuridico e in particolare l’(eventuale) variazione della destinazione d’uso per consentire l’esercizio di attività turistico-ricettiva, si deve necessariamente avere riguardo alla differenziazione delle discipline di riferimento a livello regionale e comunale.

La disciplina giuridica del cambio di destinazione d’uso è ricompresa nella materia costituzionale del governo del territorio. Si tratta di una materia soggetta a competenza legislativa concorrente da parte di Stato e Regioni, nell’ambito della quale, lo Stato detta i principi legislativi fondamentali della materia, mentre alle Regioni spetta la legislazione di dettaglio.

A ciò si aggiungono le regole contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti dei comuni, i quali disciplinano le possibili destinazioni d’uso delle aree del loro territorio e i criteri costruttivi specifici cui gli immobili devono sottostare per potere essere effettivamente destinati a determinati usi.

Per il settore della ricettività turistica, in cui si inserisce anche il tema degli affitti brevi, si aggiunge un ulteriore elemento di complessità: la materia turismo è infatti considerata, a livello costituzionale, di competenza esclusiva delle Regioni. Queste ultime, in linea teorica, potrebbero legiferare in piena libertà sul settore. In pratica, però, la naturale presenza di elevate interconnessioni tra le diverse materie legislative, fa sorgere il tema della compatibilità di certe previsioni regionali con le prerogative statali (in particolare, con la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile, materie di competenza esclusiva statale).

Il problema, con particolare riferimento agli affitti brevi, riguarda a esempio la qualificazione dell’attività di ospitalità turistica come imprenditoriale (su cui molte leggi regionali contengono specifiche previsioni), oppure la definizione dei requisiti a livello regionale per esercitare una determinata attività turistico-ricettiva.

La giurisprudenza costituzionale e amministrativa si è già pronunciata su alcune previsioni delle leggi e dei regolamenti regionali, offrendo indicazioni importanti, ma il tema rimane piuttosto aperto. Quello che è certo è che per modificare la destinazione d’uso di immobili da offrire per affitti brevi tramite piattaforme online occorre tenere in considerazione la disciplina della singola regione e del singolo comune.

La legge lombarda e le strutture ricettive non alberghiere

Il primo passaggio riguarda l’identificazione della destinazione d’uso necessaria per l’offerta di immobili propri di piattaforme online quali Airbnb, dove viene intermediata la maggior parte degli affitti brevi.

Per questa verifica, nel caso milanese preso in considerazione, occorre fare riferimento alla legge regionale in materia di turismo (l.r. Lombardia n. 27/2015), che prevede le definizioni di case e appartamenti per vacanze, oltre ad altre forme di , quali i bed & breakfast. Per entrambe tali tipologie di strutture ricettive, la destinazione d’uso menzionata espressamente dalla legge è quella residenziale. Da ciò discende una prima importante notazione: le case e gli appartamenti già destinati a residenza possono essere destinati all’ospitalità di breve periodo (affitti brevi o nelle varie forme previste) senza cambiamenti di uso formali.

Per immobili destinati a usi diversi da quello residenziale – come ad esempio uffici, laboratori artigianali, esercizi commerciali – la questione va approfondita ulteriormente, alla luce della disciplina urbanistico-edilizia in materia di mutamento di destinazione d’uso.

La disciplina del cambio di destinazione d’uso

Dal 2014 esiste una disposizione legislativa specifica a livello statale sul cambio di destinazione d’uso “urbanisticamente rilevante”, inserita all’interno del Testo unico dell’edilizia (art. 23-ter d.P.R. n. 380/2001). L’articolo prevede però espressamente che le leggi regionali possano contenere previsioni diverse in materia (ovviamente in conformità dei principi generali dettati dalla norma).

La Lombardia ha adottato da tempo una normativa specifica sui cambi di destinazione d’uso, contenuta agli artt. 51 e 52 della l.r. n. 12/2005. Tali articoli dispongono che diverse destinazioni d’uso (principale, complementare, etc.) possono coesistere nel medesimo edificio ed è sempre ammesso il passaggio da una all’altra nel rispetto delle previsioni del Pgt.

Le disposizioni citate prevedono una distinzione tra mutamento di destinazione d’uso senza opere e con opere edilizie. I cambi di destinazione d’uso realizzati con opere edilizie, secondo l’art. 51 della legge lombarda, comportano un aumento o una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche (il carico urbanistico, alla base della necessità di versare oneri legati agli interventi edilizi). I mutamenti di destinazione d’uso senza opere edilizie, invece, possono comportare un aumento di carico urbanistico solo in casi particolari (medi o grandi esercizi di vendita) e sono soggetti solo a comunicazione preventiva da parte dell’interessato. Nel caso in cui, però, la destinazione d’uso sia modificata (anche senza opere) nei 10 anni successivi alla conclusione degli ultimi lavori relativi al fabbricato oggetto di mutamento di destinazione d’uso, occorre ricalcolare il contributo di costruzione (cioè gli oneri dovuti anche in relazione al “carico” urbanistico), in conformità alla nuova destinazione.

Le regole a livello comunale e il nuovo Pgt Milano 2030

Come già rilevato, un ulteriore livello di dettaglio è contenuto poi negli strumenti urbanistici e regolamentari del comune di Milano.

In particolare, il Pgt vigente prevede che nella zona centrale della città (definita “tessuto urbano consolidato”) le destinazioni funzionali siano “liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione e un rapporto percentuale predefinito” (art. 5 norme attuative del Piano delle regole, parte del Pgt che disciplina le aree comunali già consolidate). Vi è dunque un principio generale di libertà di destinazione d’uso nelle zone centrali della città, ovviamente nel rispetto dei parametri costruttivi e sanitari previsti a livello legislativo e comunale.

Il Pgt riprende inoltre la regola, già affermata a livello regionale, della necessità di versare gli oneri connessi all’eventuale aumento del carico urbanistico causato dal cambio di destinazione d’uso, nel caso in cui questo avvenga con opere edilizie, oppure senza opere edilizie ma nei dieci anni successivi agli ultimi lavori effettuati.

Il regolamento edilizio del comune di Milano contiene principi dello stesso tenore, confermando la rilevante distinzione, in particolare ai fini dell’onerosità del cambio, tra mutamento di destinazione con opere e senza opere.

Anche il nuovo Pgt Milano 2030 (nella sua versione non ancora definitiva) sembra mantenere la stessa impostazione: viene ribadito infatti il principio della libera insediabilità delle funzioni urbane (cioè delle destinazioni d’uso) all’interno dell’area centrale della città, con recupero integrale della superficie lorda (semplificando, la superficie dell’immobile compatibile con la presenza di persone). Rimane anche la rilevanza della distinzione tra mutamento con opere e senza opere edilizie: la necessità di riconoscere oneri per l’aumento del carico urbanistico sembra essere prevista solo per il primo.

Le funzioni urbane previste dal nuovo Pgt, con formulazione diversa rispetto a quelle attuali, sono:
• residenziale;
• produttivo;
• direzionale, turistico-ricettivo e servizi privati;
• commerciale;
• rurale.

Sul punto, il nuovo Pgt prevede la possibilità di un mutamento più agevolato (almeno in termini di onerosità) tra la funzione produttiva e quelle del terziario (direzionale, turistico-ricettivo e servizi privati).

Conoscere per potere e saper cambiare

Il mutamento della destinazione d’uso di un immobile richiede, come visto, un certo livello di approfondimento tecnico-giuridico, sia che si tratti di un’iniziativa inserita in un’attività professionale o imprenditoriale, sia che si tratti semplicemente di un nuovo modo per rendere redditizia una proprietà immobiliare.

La stessa individuazione dell’attuale destinazione d’uso di un immobile non va data per scontata: per identificarla con certezza occorre infatti fare riferimento ai titoli abilitativi originari dell’immobili e ricostruirne la storia sul piano amministrativo delle eventuali modifiche intervenute.

Questo può portare a scoprire incongruenze rispetto ad altra documentazione (a esempio la classificazione catastale) che non prevale però sulla documentazione urbanistico-edilizia comunale. Il rischio di confusione nella ricostruzione e nel ricongiungimento delle destinazioni d’uso è ovviamente tanto più alto quanto più l’immobile è risalente nel tempo. Una volta determinata l’attuale destinazione d’uso, la necessità, la possibilità e le condizioni di un suo eventuale mutamento vanno valutate, come visto, alla luce della normativa (di ordine statale, regionale e comunale) che regola la materia.

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