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La corte Ue dà ragione all’Italia su Airbnb: deve raccogliere le imposte 

Nelle conclusioni presentate, l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Maciej Szpunar ha sostanzialmente condiviso l’impostazione della legge italiana del 2017 in cui si applica la cedolare secca alle locazioni immobiliari brevi al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. Ovvero ad Airbnb e alle società di gestione degli affitti brevi, in altre parole società proptech. Secondo Szpunar “è perfettamente coerente imporre l’obbligo di ritenuta fiscale agli intermediari che intervengono nel pagamento dei canoni”. Tuttavia, l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale costituisce invece “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”.

“A decorrere dal 1° giugno 2017 – ricorda la Corte – i redditi derivanti dai contratti di locazione (brevi) sono assoggettati a una cedolare secca tramite ritenuta alla fonte con aliquota del 21% e i dati relativi ai contratti di locazione devono essere comunicati all’autorità fiscale. Quando incassano i canoni, i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare nonché quelli che gestiscono portali telematici devono operare, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento al Fisco”.

“Airbnb Ireland UC e Airbnb Payments UK Ltd, appartenenti al gruppo multinazionale Airbnb, hanno presentato ricorso per l’annullamento del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate che attua il nuovo regime fiscale. Il Consiglio di Stato (Italia), adito con ricorso presentato da Airbnb, ha chiesto alla Corte di interpretare varie disposizioni del diritto dell’Unione alla luce degli obblighi imposti dal diritto nazionale agli intermediari di locazioni brevi di immobili”.

Il parere dell’avvocato generale, sul punto, dà ragione in toto all’Italia. C’è però un’altra parte della legge dove invece il legislatore sembra essere andato oltre. “I soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia sono tenuti a nominare, in qualità di responsabile d’imposta, un rappresentante fiscale”, ricorda la Corte. Ebbene, l’avvocato generale ricorda che la Corte “ha già dichiarato, nella sentenza Commissione/Spagna del 2014, che l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale imposto dalla normativa spagnola ai prestatori di servizi transfrontalieri ai fini, precisamente, della trasmissione di informazioni e della ritenuta fiscale costituisce una restrizione sproporzionata alla libera prestazione di servizi ed è pertanto contrario all’articolo 56 TFUE (trattati europei)”. “Ne consegue che l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale, imposto dalla legge italiana, è contrario all’articolo 56 TFUE”, sostiene il parere dell’avvocato generale. Le conclusioni dell’avvocato generale, va ricordato, non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte poi cominciano a deliberare la causa e la sentenza sarà pronunciata in una data successiva.

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